Corte d’Appello di Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2012 – Pres. Frallicciardi – Est. Celentano – C. D. M. liquidatore
D. S. S.r.l. c. Fallim. D. S. S.r.l. e B. di S. S.p.a.
Fallimento – Soggetti – Societa-
Estinzione – Mancata partecipazione degli ex soci – Reclamo – Nullità della sentenza di fallimento
(legge fallimentare artt. 10, 15, 18; cod. civ. art. 2495)
Nel caso in cui la società sia stata cancellata dal registro delle imprese sono gli ex soci, da considerarsi quali successori a titolo universale della società estinta, a dover essere convocati all’udienza prefallimentare; la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata senza la previa instaurazione del contraddittorio nei confronti degli ex soci deve considerarsi nulla.
Il Tribunale (omissis).
1. Il suindicato reclamo e` stato proposto entro i trenta giorni successivi al deposito in cancelleria della sentenza impugnata e dunque e` certamente tempestivo.
2.Il ricorso che lo contiene ed il pedissequo decreto di fissazione per la data odierna dell’udienza di comparizione delle parti emesso dal Presidente di questa Corte il 19 ottobre 2011 risultano poi tempestivamente notificati dal reclamante all’unico creditori ricorrente per il falli- mento ed al Curatore del fallimento in data 28 ottobre/9 novembre 2011.
3. Con il reclamo in esame il D. M., già liquidatore della D. S. S.r.l., cancellata dal registro delle imprese per la chiusura della sua liquidazione il 22 ottobre 2010, sostiene:
1) di non essere stato posto in grado di spiegare le sue difese nel procedimento prefallimentare a causa della nullità della notificazione, a lui diretta in quanto legale rappresentante e liquidatore della D. S. S.r.l., del ricorso di fallimento nei confronti di questa società proposto dalla B. di S. S.p.A. e del conseguente decreto di convocazione innanzi al Tribunale di Torre Annunziata;
2) che competente a dichiarare il fallimento della società di cui egli era liquidatore era il Tribunale di Cagliari, e non già quello di Torre Annunziata, avendo detta società trasferito la sua sede legale da Cagliari a Torre del Greco con deliberazione assembleare del 30 settembre 2010, iscritti nel registro delle imprese il 18 ottobre 2010;
3) che comunque la predetta società non possedeva i requisiti per la sua sottoposizione a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.fall.
4. L’esame delle doglianze del reclamante può pero
essere omesso, dovendo rilevarsi d’ufficio un più radicale vizio di nullità della sentenza impugnata. In due recenti pronunzie, (Cass. 5 novembre 2010, n. 22547; Cass. 31 maggio 2011, n. 12018), la Suprema Corte ha affermato che, nel caso in cui sia chiesto il fallimento di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese e perciò, giusto quanto disposto dall’art. 2495 c.c. (come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), senz’altro estintasi come soggetto giuridico, il soggetto che deve essere convocato nel procedimento prefallimentare come controparte del ricorrente va individuato nel liquidatore della società cancellata; conclusione, questa, che la prima di tali pronunce in sostanza fonda sull’impossibilita di immaginare una diversa soluzione da quella della ‘‘persistenza degli organi societari ai soli fini della dichiarazione di fallimento’’ della società cancellata, sia pur nei limiti temporali di cui all’art. 10 l.fall., mentre la seconda motiva esclusivamente con l’interesse dell’ultimo liquidatore ‘‘ad essere sentito in sede prefallimentare per le conseguenze, anche penali, che può avere nei suoi confronti la dichiarazione di fallimento’’.
Sennonché, questa Corte non riesce a comprendere come sia concepibile che un organismo ormai estinto per il mondo giuridico, come deve ritenersi sia il caso della società di capitali cancellata dal registro delle imprese a seguito della chiusura della sua liquidazione, possa stare in giudizio o comunque avere propri rappresentanti organici, volontari o legali, che lo rappresentino in giudizio, cosı come in qualsiasi rapporto giuridico.
Sicché delle due l’una: o si ammette che la società di capitali cancellata dal registro delle imprese non si estingue totalmente, ma rimane in vita, anche se ai soli fini dell’eventuale dichiarazione del suo fallimento, oppure si deve riconoscere che essa non può stare in giudizio né in persona del suo ultimo liquidatore o comunque del suo ultimo rappresentante legale né in persona di altro soggetto giuridico.
La prima alternativa pare però impraticabile di fronte alla chiara ed ampia formula di apertura ed alla genesi storica dell’art. 2495, comma 2, c.c. – evidente reazione del legislatore al consolidato orientamento giurisprudenziale che in sostanza collegava l’estinzione delle società di capitali cancellate dal registro delle imprese all’estinzione di ogni situazione giuridica soggettiva di cui esse fossero titolari, dal lato attivo o da quello passivo – ed alle sue conseguenze pratico-giuridiche. Ad accoglierla dovrebbe invero a rigore ammettersi la sopravvivenza della società cancellata dal registro delle imprese, con la correlata persistenza della sua capacità di essere titolare di diritti ed obblighi, sia pur ai limitati fini dell’eventuale dichiarazione del suo fallimento, non solo per tutto l’anno successivo alla sua cancellazione dal registro, ma per un periodo di tempo indefinibile a priori (quale sarebbe almeno quello necessario per la chiusura della procedura fallimentare eventualmente aperta nei suoi confronti e la definizione dei giudizi di impugnazione avverso l’eventuale dichiarazione del suo fallimento), con la conseguenza che, per tutto tale periodo, dovrebbe riconoscersi, ad esempio, che la medesima società possa, mediante una decisione dei soci assunta nelle forme previste a seconda del tipo o dello statuto societario, sostituire l’ultimo liquidatore della società ovvero debba sostituirlo nel caso in cui quest’ultimo muoia o perda la capacità di rivestire tale carica e debba pagargli un compenso. Il che pare francamente in netto ed irriducibile contrasto con la voluntas legis.
D’altronde, viene naturale confrontare la situazione della società cancellata dal registro delle imprese con quella dell’imprenditore individuale defunto, il quale certamente non può introdurre un giudizio né essere chiamato a parteciparvi (e può continuare ad essere parte in senso sostanziale di un giudizio già iniziato da lui o nei suoi confronti quand’egli era ancora in vita solo per un’eccezionale fictio iuris).
Deve pertanto innanzitutto concludersi che (almeno) la società di capitali (o cooperativa) cancellata dal registro delle imprese a seguito della chiusura della sua liquidazione della quale sia richiesto il fallimento, in quanto soggetto ormai giuridicamente inesistente, non può essere parte del procedimento prefallimentare, così come non può chiedere la dichiarazione del suo fallimento, e non può avere propri rappresentanti, organici, volontari o legali. Potrebbe allora ritenersi che il procedimento volto alla verifica delle condizioni per l’eventuale dichiarazione del suo fallimento possa svolgersi con la partecipazione del solo ricorrente, così come, prima della riforma della legge fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, si riteneva possibile nel caso dell’istanza di fallimento di un imprenditore individuale defunto (v.: Cass. 7 febbraio 2006, n. 2594; Cass. 9 marzo 2000, n. 2674; Cass. 15 maggio 1993, n. 5869).
Questa soluzione era pero, prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, apparsa ragionevole perché all’epoca la dichiarazione di fallimento seguiva ad un procedimento sommario in cui soltanto per effetto dell’intervento della Corte costituzionale e soltanto in misura minima era garantito un pieno contraddittorio, che invece poteva dispiegarsi pienamente nel successivo giudizio di opposizione, che infatti anche gli eredi dell’imprenditore individuale defunto dichiarato fallito erano legittimati a promuovere. Sicché pare incongrua ora che il procedimento per la dichiarazione di fallimento, pur conservando forme camerali, e stato disciplinato dal nuovo art. 15 l.fall. in modo tale da trasformarlo in un giudizio a cognizione piena, con la conseguente abolizione del giudizio di opposizione innanzi al medesimo tribunale che aveva pronunziato la sentenza dichiarativa di fallimento previsto dal vecchio art. 18 l.fall.
Risulta pertanto ragionevole ritenere che il procedimento per la dichiarazione del fallimento di un imprenditore individuale defunto debba svolgersi nei confronti degli eredi di quest’ultimo, non già quali rappresentanti, bens
ì in quanto successori a titolo universale del de cuius e dunque in proprio o, in mancanza, del curatore dell’eredità giacente e, parallelamente, che il procedimento per la dichiarazione del fallimento di una società di capitali estinta debba svolgersi nei confronti dei soci di quest’ultima. Pur potendo sembrare ardito definirli successori a titolo universale della società estinta, i soci delle società di capitali estinte invero rispondono dei debiti sociali, anche se fino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, giusto quanto disposto dall’art. 2495, comma 2, c.c., così come gli eredi con beneficio d’inventario rispondono dei debiti del de cuius nei limiti di quanto abbiano da costui ricevuto, giusto quanto disposto dall’art. 490, comma 2, n. 2, c.c. Inoltre, secondo la tesi che pare preferibile (per la quale v. anche Cass. 3 novembre 2011, n. 22863), i soci delle società di capitali estinte succedono a queste nella titolarità delle attività sociali eventualmente residuate alla liquidazione, come appunto se ne fossero i successori a titolo universale.
Il liquidatore di una società di capitali estinta invece – oltre a non poter più essere considerato, per le ragioni in precedenza esposte, il legale rappresentante di tale società – risponde, sempre ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., soltanto dei debiti sociali che non siano stati pagati per sua colpa, sicché il fondamento di tale sua responsabilità non pu
ò rinvenirsi in un fenomeno di carattere, sia pur lato sensu, successorio, bensì nel suo venir meno ai suoi obblighi e dunque in un comportamento illecito. Sicché, sebbene sia certamente tra i soggetti potenzialmente interessati ad evitare la dichiarazione del fallimento della società estinta, poste le conseguenze, anche penali, che potrebbero derivargliene, e gli si debba pertanto riconoscere la legittimazione ad intervenire volontariamente nel procedimento volto alla verifica dei presupposti di tale dichiarazione ed a proporre le impugnazioni previste dalla legge, non può essere considerato in alcun modo il successore di detta società.
La sentenza nella specie impugnata da C. D. M. deve pertanto ritenersi nulla in quanto pronunziata senza la previa instaurazione del contraddittorio nei confronti di coloro che, insieme al medesimo reclamante, risultano essere stati gli ultimi soci della D. S. S.r.l., cioè A. ed A. D. M.
5. Alla dichiarazione della sua nullità non consegue però la rimessione del procedimento al giudice di primo grado, poiché è o
rmai decorso più di un anno dalla data in cui la predetta società venne cancellata dal registro delle imprese a seguito della chiusura della sua liquidazione.
6. Il contrasto della presente decisione con l’orientamento della Corte di cassazione in ordine alla questione in precedenza esaminata induce a ritenere sussistenti i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di reclamo tra le parti che vi si sono costituite, considerato anche che, se la predetta questione fosse stata risolta in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità: il primo motivo di doglianza proposto dal D. M. sarebbe stato rigettato, non avendo il reclamante fornito prove sufficienti a concludere che egli, il 28 luglio 2011, non conviveva nemmeno temporaneamente con la madre, posto che a dare tale dimostrazione non basta il fatto che all’epoca egli risiedeva anagraficamente altrove; il secondo motivo di reclamo, pur se fosse stato accolto, non avrebbe inciso sulla validità della sentenza impugnata,
stante quanto disposto dall’art. 9 bis l.fall.; il terzo motivo di reclamo sarebbe stato rigettato per non aver il reclamante fornito alcuna prova che la società fallita non possedeva i requisiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma dell’art. 1 l.fall.
(Omissis).
Societa` estinta e procedimento per la dichiarazione di fallimento
La sentenza in commento affronta la questione della partecipazione al procedimento prefallimentare della società cancellata dal registro delle imprese. La Corte d’Appello di Napoli ritiene che a seguito dell’estinzione della società si verifichi un fenomeno analogo a quello della successione a titolo universale, e di conseguenza
statuisce che siano i soci della società cancellata dal registro delle imprese a dover essere convocati
all’udienza ex art. 15 l. fall. La decisione offre numerosi spunti di riflessione.
1. La sentenza della Corte di Appello di Napoli
Una società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata propone reclamo contro tale pronuncia in considerazione dei seguenti motivi: i) pretesa nullità della notifica a comparire all’udienza prefallimentare effettuata al legale rappresentante e liquidatore, in quanto la notifica sarebbe stata effettuata in luogo diverso dalla residenza; ii) pretesa incompetenza del Tribunale di Torre Annunziata, per avere la società trasferito la sede legale da altro luogo pochi giorni prima della iscrizione della cancellazione; iii) pretesa assenza dei requisiti dimensionali ai sensi dell’art. 1 l.fall. La Corte d’Appello succintamente ritiene infondati i motivi di reclamo; in particolare, per quanto riguarda il secondo, considera irrilevante la censura in virtù dell’art. 9 bis l.fall.
Tuttavia il Giudice di secondo grado ritiene di rilevare d’ufficio un vizio più radicale, di nullità della sentenza impugnata, in quanto il Tribunale ha convocato nel procedimento prefallimentare il liquidatore della società cancellata, e non, come invece avrebbe dovuto fare a parere della Corte d’Appello di Napoli, gli ex soci. Secondo la sentenza non può, infatti, ritenersi corretta la convocazione del liquidatore: a seguito dell’iscrizione della cancellazione della società (almeno di capitali), quest’ultima deve ritenersi estinta ad ogni effetto ai sensi dell’art. 2495, comma 28, c.c. Pertanto, l’art. 10 l.fall., che consente la dichiarazione di fallimento per un anno da tale cancellazione, va interpretato non nel senso che la società continui ad esistere ai soli fini dell’eventuale dichiarazione del suo fallimento (1); ma, in parallelo con quanto avviene per l’imprenditore individuale defunto, nel senso che il procedimento per la dichiarazione di fallimento debba svolgersi nei confronti dei soggetti considerati successori a titolo universale della società estinta, e quindi degli ex soci. Di conseguenza, non essendo quest’ultimi stati convocati nel corso del procedimento prefallimentare, la sentenza deve ritenersi nulla; ed essendo ormai decorso, al momento della sentenza della Corte d’Appello, più di un anno dalla data della cancellazione, non si può far luogo ad una rimessione del procedimento al Giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c.
2. La società estinta: questioni aperte
L’analisi delle conseguenze dell’iscrizione della cancellazione di una società dal registro delle imprese ha assunto, dopo la riforma del diritto societario del 2003, un’eccezionale rilevanza: da un lato perché, come noto, il legislatore ha voluto chiarire l’effetto estintivo collegato a tale iscrizione (per lo meno per le società di capitali) (2), inserendo l’incipit ‘‘ferma restando l’estinzione della società’’ all’art. 2495, comma 28, c.c. (3); d’altro lato perché la Corte Suprema, con una serie di decisioni, di cui tre a Sezioni Unite (4), ha avallato tale interpretazione, che è divenuta di conseguenza assolutamente dominante, oltre che in dottrina (che in via prevalente si esprimeva in questo senso già prima della riforma), in giurisprudenza, ora anche tributaria (5). Giada tempo e
stato segnalato che il terreno di verifica delle ricostruzioni sistematiche in merito alla cancellazione della società dal registro delle imprese è costituito dalla soluzione dei problemi della fattispecie (6). L’effetto estintivo collegato all’iscrizione della cancellazione pone, infatti, vari quesiti, peraltro tra loro spesso collegati: di diritto societario, in particolare con riferimento alle sorte delle sopravvenienze attive e delle sopravvenienze passive, materia su cui il legislatore, nonostante il tenore della legge delega, ha ritenuto di non prendere posizione (7); di diritto processuale civile, con riferimento agli effetti che la cancellazione determina sui processi da iniziare e nelle varie fasi del giudizio pendente (8), questione che ha determinato la Corte di Appello di Milano a sollevare, di recente, la questione di legittimità costituzionale della disciplina (9), nonché la prima sezione della Corte di Cassazione a trasmettere gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione eventuale alle Sezioni Unite (10); di diritto penale e processuale penale (11); infine, ed è il tema della sentenza, di diritto fallimentare, in considerazione del disposto dell’art. 10 l. fall. e del non suo facile e immediato coordinamento con l’art. 2495 c.c. (12).
3. Il fallimento della società estinta: permane un ruolo dell’ex liquidatore?
Come si accennava nel sintetizzare il contenuto della decisione, due sono i passaggi fondamentali della motivazione della sentenza. Il primo è il seguente: la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina l’estinzione ad ogni effetto, e quindi non è immaginabile che la società permanga in vita con propri rappresentanti neppure ai limitati fini della dichiarazione di fallimento.
Il secondo e consequenziale passaggio è il seguente: la società estinta deve essere rappresentata, così come accade nel caso di istanza di fallimento nei confronti dell’imprenditore defunto, da chi può essere assimilato ad un successore universale, ossia, nel caso di specie, dagli ultimi soci.
Già nell’affrontare il primo punto della motivazione la Corte d’Appello di Napoli assume consapevolmente una soluzione che contrasta con l’orientamento prevalente, fatto proprio da due sentenze della Corte di Cassazione. Secondo quest’ultima, infatti, nel caso in cui sia chiesto il fallimento di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese il soggetto che rappresenta l’ente, e che quindi deve essere convocato nel procedimento prefallimentare, è l’ultimo rappresentante legale e quindi il liquidatore. La Suprema Corte sostiene quest’orientamento per due ragioni: la persistenza degli organi sociali ai soli fini della dichiarazione di fallimento (13); e l’interesse dell’ultimo rappresentante legale a partecipare all’udienza prefallimentare (e ad impugnare la eventuale sentenza dichiarativa di fallimento) per le conseguenze anche penali che può avere tale dichiarazione nei suoi confronti
(14).
Gli argomenti utilizzati dalla sentenza in commento paiono sul punto condivisibili. Da un lato, la tesi della Cassazione in tali pronunce si pone in contrasto con il disposto dell’art. 2495, comma 28, c.c., in quanto sembra determinare la sopravvivenza (sia pure limitata al giudizio fallimentare) della società e delle funzioni dell’ultimo legale rappresentante (15). D’altro lato, la tesi che rileva il potenziale interesse dell’ex liquidatore ad evitare la dichiarazione di fallimento della società estinta può valere per riconoscergli la legittimazione ad intervenire volontariamente nel procedimento; non, necessariamente, ad esserne parte in quanto rappresentante della società (e tantomeno per essere, in base a quanto si dirà appresso, successore della stessa). Del resto il sistema già conosce altre ipotesi in cui vi e` il fallimento di un patrimonio senza imprenditore (o, se si preferisce, di soggettivizzazione temporanea di un patrimonio): in particolare nel caso, molto vicino sotto molteplici profili e richiamato
4. Il ruolo degli ex soci e l’udienza prefallimentare
Più delicata risulta la valutazione del secondo passaggio chiave della motivazione, che pare potersi scindere in due ulteriori argomenti. In primo luogo la Corte d’Appello considera gli ex soci successori a titolo universale della società ; in secondo luogo ritiene necessario che, in quanto…