Estinzione della società
CASSAZIONE CIVILE, sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070 – Pres. Preden – Est. Rordorf – C. di A. c. C.G.S.
e F. S.p.a., quale successore nel diritto controverso della R.C. di M.V. S.a.s.
Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta
(La sentenza è già pubblicata in questa Rivista, 2013, 5, 691)
Successione dei soci ed iscrizione nel registro delle imprese del fatto estintivo della società
di Marco Speranzin (*)
Le sentenze delle Sezioni Unite del marzo 2013 esaminano le conseguenze sostanziali e processuali dell’iscrizione della cancellazione di una società (sia essa di persone o di capitali) dal registro delle imprese. La Suprema Corte ritiene che, a seguito dell’estinzione della società, si verifichi un fenomeno successorio da parte dei soci, con effetti dal punto di vista della sorte delle posizioni attive, delle posizioni passive e dei processi pendenti o da instaurare. Le decisioni offrono numerosi spunti di riflessione
Le sentenze della Corte di cassazione
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno esaminato nuovamente, con la sentenza già pubblicata in questa Rivista (1) e con altre due decisioni parallele (2), il tema degli effetti estintivi dell’iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Nonostante l’esistenza di recenti (del 2010) pronunce a Sezioni Unite sul tema (3), la I Sezione della Cassazione aveva, infatti, ritenuto che vi fosse ancora controversia nell’individuare la sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società venga cancellata dal registro delle imprese; e aveva, pertanto, nuovamente rimesso la questione alla decisione delle Sezioni Unite (4). D’altro lato anche la II Sezione aveva effettuato analoga rimessione, in particolare per la questione interpretativa relativa all’individuazione della sorte delle sopravvenienze attive scoperte dopo la cancellazione o dei residui patrimoniali attivi non liquidati prima della cancellazione (5).
Le sentenze in primo luogo ripercorrono le conclusioni cui erano pervenute alcune delle menzionate decisioni del 2010 (6). Ribadiscono, quindi i) la portata innovativa (e non interpretativa) della modifica introdotta dalla riforma del 2003 all’art. 2495 c.c., in tema di estinzione della società a seguito dell’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese; ii) l’applicazione della norma anche alle società di persone, per ragioni di ordine sistematico desunte anche dall’art. 10 l. fall.; iii) la possibilità di superare la presunzione di estinzione conseguente alla cancellazione della società dal registro delle imprese mediante la prova di un fatto dinamico, ossia la prova del fatto che la società ha continuato ad operare pur dopo l’avvenuta cancellazione; unico caso, quest’ultimo, in cui potrebbe addivenirsi, anche d’ufficio, alla cancellazione della pregressa iscrizione (quella della cancellazione della società) (7).
Le decisioni in secondo luogo esaminano, in modo analitico, la sorte dei rapporti sociali non definiti e le conseguenze sul piano processuale della cancellazione della società, aspetti sui quali il legislatore della riforma del diritto delle società di capitali, nonostante il dettato della legge delega (art. 8, b, l. 3 ottobre 2001, n. 366), non aveva ritenuto di prendere posizione (8).
Quanto alle posizioni passive, la conclusione della Corte di cassazione è che, a seguito dell’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, si verifica un meccanismo di tipo successorio in base al quale i debiti, conservando intatta la propria causa e la propria natura giuridica, si trasferiscono in capo ai soci, nei limiti della responsabilità che quest’ultimi avevano nel tipo societario di riferimento. Non può, infatti, ritenersi, sostengono le Sezioni Unite, che contrasti con tale ricostruzione la responsabilità nei limiti del riscosso dalla liquidazione, prevista per i soci di società di capitali (v. art. 2495 c.c.): il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, infatti, di essere tale.
Quanto alle posizione attive, la conclusione della Suprema Corte è maggiormente articolata. Nel caso di mere pretese (posizioni incerte cui ancora non corrisponda la possibilità di individuare un diritto o un bene definito nel patrimonio sociale) oppure di diritti di credito non liquidi, la scelta del liquidatore di procedere all’iscrizione della cancellazione comporta, a parere dei giudici di legittimità, l’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito.
Nel caso, invece, di diritti o beni definiti (che figurano o avrebbero dovuto figurare nel bilancio finale di liquidazione), escluso che essi possano, dopo la cancellazione, rappresentare un patrimonio adespota, assimilabile all’eredità giacente, la soluzione non può, sempre a parere della Corte, che essere analoga a quella dei debiti non soddisfatti: si assiste ad un meccanismo successorio in base al quale i beni o i diritti residui o sopravvenuti appartengono ai soci in un regime di contitolarità o comunione indivisa.
Sul piano processuale, le sentenze in commento sostengono che, in conformità alla ricostruzione sopra esposta, la società cancellata non possa né intraprendere una causa, né esservi convenuta (con la sola eccezione prevista all’art. 10 l. fall.). D’altro lato, nel caso di estinzione intervenuta a causa già iniziata, la Cassazione ritiene che si possa invocare l’art. 110 c.p.c. con conseguente trasferimento della legittimazione in capo ai soci, e applicazione degli artt. 299 e ss. c.p.c. in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa. D’altro lato ancora, nel caso in cui l’evento estintivo (oggetto di pubblicità legale) non sia stato accertato nel corso del giudizio, oppure sia intervenuto dopo la pronuncia della sentenza, il giudizio di impugnazione deve essere promosso, a pena di inammissibilità, da e contro i soggetti effettivamente legittimati, ossia i soci succeduti alla società estinta.
Considerazioni sugli effetti dell’iscrizione della cancellazione della società nel registro delle imprese.
Le sentenze delle Sezioni Unite del 2013 affrontano il tema oggetto di decisione sulla base di una scelta interpretativa di fondo che pare condivisibile. La qualificazione del rapporto tra società estinta e soci quale fenomeno di tipo successorio pare quella che in modo più efficace possa definire le conseguenze del procedimento di liquidazione, riparto e iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese; e pare la tesi che consente di meglio risolvere i numerosi problemi che l’estinzione della società comporta (9).
La motivazione della decisione ha cura di precisare che tra società e soci si verifica un meccanismo almeno lato sensu successorio, che trova significativa conferma, dal punto di vista normativo, dalle (seppur molto criticate (10)) modalità di notifica dell’azione dei creditori sociali nei confronti dei soci previste all’art. 2495 c.c., comma 2, ultima parte, c.c., disciplina “palesemente” ispirata all’art. 303 c.p.c., e quindi alla notifica dell’atto di riassunzione agli eredi (11).
A quanto esposto dalla sentenza, potrebbe forse aggiungersi che il presupposto di applicazione di princìpi e norme in materia di successione è rappresentato dal procedimento, di natura divisionale, di liquidazione e riparto che precede la iscrizione della cancellazione, e che comporta la destinazione e poi l’attribuzione a favore dei soci di una quota del patrimonio sociale (12). Inoltre, il fenomeno successorio in esame, avvenuto prima dell’estinzione del soggetto, e a causa di questa, può essere qualificato come a titolo universale, in quanto, come si accennava, l’attribuzione a favore dei soci della quota di liquidazione è caratterizzata da una vis expansiva che comprende sia i beni o diritti che sono espressamente assegnati, sia quelli sopravvenuti (13).
La sorte dei rapporti passivi
Come si diceva, la decisione delle Sezioni Unite non si limita ad aderire alla tesi che ritiene esistente un rapporto successorio tra società cancellata e soci; propone anche una soluzione puntuale per le questioni
relative alle posizioni attive e passive, sostanziali e processuali, pendenti o che potrebbero nascere dopo la cancellazione della società, prendendo posizione su molti dei punti controversi in materia.
Dal punto di vista dei rapporti passivi la scelta interpretativa della Corte di Cassazione deriva logicamente dalla premessa ricostruttiva. La volontaria cancellazione della società dal registro delle imprese non può evidentemente comportare l’estinzione dei debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, in quanto ciò consentirebbe al debitore, in violazione dei princìpi generali dell’ordinamento, di disporre unilateralmente dei diritti altrui; di conseguenza, i debiti della società si trasferiscono in capo ai successori, ossia ai soci, nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo societario di origine.
Del resto, nota ancora la sentenza, come già si accennava, la circostanza che nelle società di capitali i soci rispondano solo nei limiti di quanto ricevuto dalla liquidazione (v. art. 2495 c.c.) non impedisce la qualificazione del fenomeno quale successione; ciò è testimoniato proprio dalla disciplina della successione mortis causa delle persone fisiche, con riferimento alla posizione dell’erede che abbia accettato con beneficio di inventario (14).
Da tali considerazioni derivano almeno quattro corollari.
Il primo, espresso chiaramente dalla motivazione e che pare condivisibile, è che l’ordinamento, proprio in virtù del meccanismo successorio e dell’azione ex art. 2495 c.c., non riconosce ai creditori sociali la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto (o, si può aggiungere, un diritto di opposizione all’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese) (15). Il secondo corollario, non espresso ma che pare conseguenza logica della motivazione, è che deve ritenersi ammissibile l’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese anche in presenza di debiti sociali insoddisfatti (16).
Il terzo, espresso in termini sintetici dalla Suprema Corte, è che il meccanismo successorio si verifica (nel caso di società di capitali) a prescindere dall’avvenuto effettivo riparto in sede di liquidazione; e ciò in quanto l’azione può essere esercitata nei confronti dei soci anche qualora vi sia un attivo non conosciuto o sopravvenuto alla liquidazione e al riparto (17).
L’ultimo corollario è che, a parere dai giudici di legittimità, l’azione nei confronti dei soci si differenzia, per sua natura, da quella per risarcimento dei danni nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa di costui (18). Un problema, quello dell’azione nei confronti del liquidatore, che avrebbe forse richiesto un maggior approfondimento, dato che la responsabilità ex artt. 2312, 2324 e 2495 c.c. sembra un’ipotesi di responsabilità (se si vuole: ex lege) per debiti, più che per danni (19); ma è un problema che la Cassazione volontariamente non approfondisce, non essendo stata esercitata alcuna azione contro il liquidatore nel caso in esame (come anche negli altri due paralleli).
La sorte dei rapporti attivi: la distinzione tra le sopravvenienze attive “certe” e “incerte”
La parte della motivazione che si occupa dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive è quella che risulta più innovativa rispetto al dibattito sul tema dell’estinzione della società; ed è quella che pare sollevare le maggiori perplessità.
Sembra convincente, e coerente con le considerazioni in tema di debiti non soddisfatti, ritenere che i soci, se non è previsto diversamente nel piano di riparto, subentrino nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale in regime di contitolarità o di comunione indivisa (20).
Meno agevole è concordare con la scelta interpretativa, che era stata anticipata da una sentenza di qualche anno fa sottoscritta dal medesimo Relatore (21), secondo cui, nel caso di mere pretese oppure di diritti di credito non liquidi, la scelta del liquidatore di procedere all’iscrizione della cancellazione comporta la univoca manifestazione di volontà della società di rinunciare al credito.
In primo luogo, non pare convincente la distinzione, in astratto, tra posizione attive che devono risultare dal bilancio finale di liquidazione; e mere pretese o diritti di credito non liquidi, ossia posizioni attive che non avrebbero potuto essere ragionevolmente iscritte. Anche le mere pretese o i diritti di credito non liquidi, infatti, devono essere indicati nel bilancio finale di liquidazione ex artt. 2311 e 2492 c.c., secondo il valore presumibile di realizzazione (art. 2426, n. 8, c.c.) (22).
In secondo luogo, non pare comunque convincente la diversità di trattamento tra le due ipotesi. Se si ritiene ammissibile l’iscrizione della cancellazione della società anche in presenza di debiti o crediti (certi) non soddisfatti, con conseguente fenomeno di successione dei soci nel rapporto, analogamente sembra si debba ragionare con riferimento a tutte le situazioni patrimoniali. E quindi anche nell’ipotesi in cui il credito non risulta ancora certo o liquido, ma lo possa diventare in seguito, ad esempio all’esito di una controversia instaurata dalla società, e proseguita dai soci, per l’accertamento di un diritto; oppure nell’ipotesi in cui il credito sorga successivamente, ad esempio alla conclusione di una controversia che abbia un esito più favorevole per la società (e, quindi, per i soci) di quanto era previsto o prevedibile (23).
Si può obiettare che, seguendo un’interpretazione diversa da quella della Cassazione, si potrebbe verificare un pregiudizio a danno dei creditori sociali, i quali non verrebbero a conoscenza dell’attivo distribuito tra i soci successivamente all’iscrizione della cancellazione e, quindi, alla redazione del bilancio finale di liquidazione. Tuttavia si può ulteriormente replicare che l’applicazione delle norme in tema di divisione, e quindi, nel caso, l’applicazione dell’art. 762 c.c., che comporta un supplemento della divisione in caso di omissione di uno o più diritti o beni (dal piano di riparto), rende possibile per i creditori sociali un’azione anche sull’attivo sopravvenuto o successivamente accertato (oltre che la possibilità di contestare le risultanze del bilancio finale e di chiedere l’accertamento del valore dei beni eventualmente assegnati ai soci) (24).
E, soprattutto, l’effetto pregiudizievole a carico dei creditori sociali è – per le società di capitali, in cui non vi è di norma la responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni della società – molto maggiore ritenendo che la potenziale attività sia oggetto di un atto unilaterale di rinuncia a seguito dell’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese (25).
È vero che in astratto i creditori sociali possono…